Premio In sesto

a cura di Giorgia Gastaldon

Il Premio In Sesto fin dalla sua prima edizione tenta l’impresa di coniugare l’arte contemporanea con la storia dei luoghi di San Vito al Tagliamento: quest’anno quest’intreccio si fa ancora più fitto grazie alla scelta, come sito per la realizzazione dell’opera vincitrice, di un luogo fortemente connotato nella memoria di questa città.

La decisione di prendere il giardino di Palazzo Rota come luogo adibito al Premio per il 2012 non è casuale: esso fu teatro degli scontri tra contadini e proprietari terrieri per il lodo De Gasperi nel lontano 1948, nonché ambientazione di un romanzo di Pier Paolo Pasolini – Il sogno di una cosa – di cui ricorre quest’anno il cinquantenario dalla pubblicazione. Dato alle stampe nel 1962, ma originariamente scritto contemporaneamente ai moti contadini narrati, questo libro si fa testimonianza della società friulana dell’epoca, nelle sue difficoltà certo, ma anche nella sua speranza per un futuro migliore, nel sogno, appunto, di un avvenire più appagante.

Legare l’opera vincitrice al ricordo che abita questi luoghi sembra un’operazione utile a far sì che questa storia “passata” possa tornare a vivere nella memoria di ciascuno di noi: ci sarà sufficiente tornare a passeggiare – e non semplicemente transitare – all’interno di questo giardino.

Gianni Pignat

I segni di un sogno

L'invito a produrre un bozzetto per una scultura da collocare negli spazi di Palazzo Rota presenta singolari coincidenze: cinquant’anni or sono, Pier Paolo Pasolini pubblicò "Il sogno di una cosa", suo primo romanzo, composto nel ’49-’50, ambientato nel Sanvitese e che ha come teatro anche Palazzo Rota, occupato il 29 gennaio 1948 da alcune centinaia di braccianti senza lavoro, organizzati dal sindacalista Angelo Galante per indurre il conte Rota ad accettare il “Lodo De Gasperi”, che stabiliva rapporti di lavoro più equi tra proprietari terrieri e contadini e chiedeva l’assunzione di quote di disoccupati. Nel mio lavoro immagino che i petali delle ortensie a ridosso del muro interno di Palazzo Rota salendo si depositino sulla lastra di metallo, come rappresentazione sublimata dei giovani disoccupati che quel mattino di sessantadue anni fa dimostravano per i loro diritti. (Gianni Pignat)

L’arte di Gianni Pignat nasce da un cortocircuito tra il segno - inteso come lettera d’alfabeto che trae il suo stigma dalle più varie tradizioni delle scritture e delle culture umane – e l’ordine necessitato dalla ricerca della parola, della frase intesa all’espressione di un senso, cioè, plasticamente, al raggiungimento di una “forma”. Non dunque segno semplicemente inconscio, segno informale, ma segno come cellula costituiva della possibilità del discorso. E infatti l’arte di Pignat ha sempre carattere organico, sia che si manifesti attraverso il dipinto su tavola, come nell’intaglio su metallo, come nelle sensibilissime ceramiche, come negli altri modi in cui la perizia “fabbrile” dell’artista decida di esprimersi, secondo momenti ed invenzioni. In questo articolarsi la creatività dell’autore incontra molti suggerimenti dell’avanguardia, e incontrandoli ne fa materia propria, precisa scansione di una singolare, affascinante originalità. (Giancarlo Pauletto)

I segni di un sogno, 2012
rendering
100x550 cm

Champa, 2012
metallo, acidi
75x75 cm

Maria Elisabetta Novello

Sentire. Il sogno di una cosa

Per questo progetto site specific a Palazzo Rota, luogo già di per sé carico di memoria, vorrei apportare il mio contributo artistico in punta dei piedi, con il rispetto che questo vissuto merita e nel contempo con la vitale energia di procedere nel futuro attraverso il compito principale dell’arte contemporanea ovvero aprire la domanda. Per realizzare un simile dialogo sento la necessità di indagare il sogno, di cui parlava Pasolini e il cui concetto mi seduce e mi attrae. Sogno inteso anche come “motore” che unisce le coscienze di oggi con quelle del passato; i concetti di sogno e passione sono propri dell’esistenza stessa, sono l’essenza di un tempo, l’essenza dell’oggi. Attraverso la smaterializzazione quasi totale dell’opera, vorrei procedere raccogliendo una parola, un pensiero, un’idea, una musica, una sensazione che mi offre la gente. Il sogno di una cosa infatti, può aprire svariate interpretazioni, non definire ma suggerire. Racconti di sogno che saranno il fulcro centrale dell’installazione sonora. Un percorso in cui è possibile incontrare parole, suoni, suggestioni, pensieri, passioni che usciranno flebili da altoparlanti. (Maria Elisabetta Novello)

Le opere di Maria Elisabetta Novello si sviluppano sul doppio registro costituito da spazio e tempo, riuniti idealmente dal ponte sospeso del ricordo. Materiale privilegiato del suo lavoro è la cenere, sedimento ultimo di un processo di combustione determinato da un atto che è espressione, al tempo stesso, di un’esistenza e di una volontà appartenenti al passato, ma che si proiettano verso il futuro tramite la forza della memoria individuale o collettiva. Attraverso l’impalpabilità della polvere, Novello ri-crea una realtà altra, reimmettendo in circolo una materia altrimenti destinata alla dispersione che si carica così di nuovi significati. Tali contenuti, appaiono sì legati al tempo trascorso, ma sono anche riconducibili ad un patrimonio di conoscenze e di ricordi che appartiene all’intera comunità e che ora può essere nuovamente fruito attraverso il canale comunicativo dell’arte. L’operazione concettuale compiuta da Novello sul recupero del valore memoriale della materia, le permette dunque di travalicare la dimensione spazio-temporale del presente ricollegando ciò che è stato a ciò che sarà ed inserendo così nel flusso continuo del tempo la possibilità della materia di sottoporsi ad un continuo processo di ri-generazione espressiva. (Vania Gransinigh)

Orizzonti, 2012
cenere su plexiglass
5 elementi 80x80 cm

Punto di vista, 2010
video-performance
cenere, telecamera, video proiettore

A(R)MA, 2009
installazione performance
cenere e aspirapolvere, tempo e dimensioni variabili

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Stefano Comelli

Movimento-evoluzione

L'intervento, pensato all'interno delle quattro aree verdi del giardino di palazzo Rota, consiste nella collocazione di tre forme uguali che saranno diversamente ruotate e poste al centro di ogni manto erboso. Ogni elemento avrà una superficie riflettente (acciaio specchiato) capace di riproporre porzioni del palazzo, del cielo o del visitatore e di rimandare come collegamento alla quarta area verde, contenente (incassata nel prato) una piastra sempre d'acciaio specchiato rivolta verso il cielo. Per una possibile lettura dell'intervento, le tre forme possono rimandare ai tre protagonisti principali del racconto, mentre la piastra incassata a Pasolini. Diversamente le forme possono essere lette nella loro traslazione come movimento e le superfici specchianti come evoluzione del tempo e delle persone(come nuovi protagonisti) che si possono riflettere in un confronto tra storia e contemporaneità. (Stefano Comelli)

Stefano Comelli, nato a Trieste nel 1968, vive e lavora a Versa di Romans d’Isonzo, Gorizia. Nel 1987 vince il primo premio per la scultura nel concorso degli istituti d’arte regionali (Fondazione Alberti). L’Associazione Lilian Caraian, Trieste, gli assegna il terzo premio nelle edizioni 1987, 1989 e, nel 1992, la borsa di studio per un corso di perfezionamento all’Accademia di Salisburgo (scultura in pietra, docenti Janez  Lenassi e Susanne Tun). Dal 1990 partecipa a simposi di scultura nazionali e internazionali, sperimentando parallelamente il rapporto scultura-oggetto-ambiente con la creazione delle prime installazioni. Il lavoro del “togliere” dalla pietra o dal legno si affianca la manipolazione del ready made utilizzato per “raccontare” situazioni e impressioni di luoghi abbandonati, ma anche di spazi liberi come fiumi, parchi, montagne. Scultura e installazioni si contaminano e si condensano legate da una profonda consapevolezza: a esperienze quali Io sono un artista bastardo (Topolò 1996), seguono opere in cui la materia scolpita ingloba superfici specchianti – ritmo1 e 2 (2007) – ricongiungendo l’oggetto allo spazio-ambiente sperimentabile dall’osservatore. (Annalia Delneri)

Movimento-evoluzione, 2012
fotomontaggio del progetto, Palazzo Rota
acciaio corten, acciaio specchiato

Movimento-evoluzione, 2011
legno di cedro del Libano
78x107x97 cm

Natura morta, 2003
pietra grigio carnico di Timau
20x40x20 cm
Collezione Musei Provinciali di Gorizia
foto di Massimo Crivellari

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Franco Vecchiet

Il sogno di una vita

Il mio progetto vuole essere un rispettoso omaggio ai contadini, mezzadri, e braccianti che nell’inverno 1948 scesero in piazza davanti al Palazzo comunale di San Vito a protestare contro il mondo dei latifondisti. L’episodio storico, raccontato da Pasolini nel Sogno di una cosa, è stato una specie di catarsi che ha permesso di pensare ad un mondo diverso. Il progetto dell’opera prevede, che alcune pietre della pavimentazione davanti al cancello del giardino del Palazzo comunale di San Vito siano tolte. Nella parte inferiore di queste verranno scolpiti i nomi dei contadini, che hanno partecipato alla rivolta. Ogni pietra verrà quindi rimessa al suo posto, ma con l’iscrizione rivolta verso il basso, e non risulterà dunque più visibile al visitatore. Sulla pavimentazione rifatta esattamente come lo era prima dell’intervento, verrà posta al lato del cancello, una targa di metallo con una breve dicitura esplicativa dell’opera. Come i contadini difendevano i loro diritti umani ritenuti eterni, così anche l’opera deve durare nel tempo, eterna ed intatta. Ma per esserlo, deve sottrarsi alla nostra vista, per interiorizzarsi con il peso silenzioso della sua presenza nascosta. Il silenzio dell’opera rende evidente il non rappresentabile, e la sua assenza-presenza riesce a conservare viva la memoria nel più profondo di noi. (Franco Vecchiet)

Due voci appaiono utili per inquadrare il lavoro di Franco Vecchiet: costruttivismo e grafica. Costruttivismo, quello del Bauhaus, filtrato dal maestro Cernigoj in quella Trieste ancora ricca di echi internazionali e cosmopoliti; grafica, quella della scuola di Lubiana, intelligente ed innovativa, e quella di Urbino, complessa ed approfondita. Triestino di nascita, Vecchiet è il risultato di un melange, di una città che aveva trovato la sua ragion d'essere nello spirito di relazione, nel rapporto con il diverso, nella peculiarità di differenti nuclei culturali fusi in un'unica originale sommatoria. Opera con la carta, con il legno, con i più diversi materiali sempre nell'ottica di un gioco molto serio, quello di aprire a nuove suggestioni noetiche e spaziali. Gli orizzonti che si schiudono attraverso gli interventi di Vecchiet sono quelli liberi dai pregiudizi, collegati alla memoria, segnati dal futuro. Aspira a prefigurare nuove ipotesi e scenari, aprire le menti alla bellezza di un nuovo possibile, con leggerezza e profondità. Perché, in fondo, non si può mai rinunciare a descrivere il vuoto, l'enigma. (Lorenzo Michelli)

Il sogno di una vita, 2012
progetto d'intervento al Parco Rota

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Anna Pontel

Opera vincitrice del Premio 'In sesto' 2011

Anna Pontel è l’artista vincitrice del Premio In Sesto del 2011 grazie all’opera Galeta, scelta e premiata dal pubblico di San Vito. L’esposizione parte proprio da quest’ultima: una grande scultura con struttura a forma di bozzolo che può essere sperimentata e usata in modi diversi: Anna Pontel ai fini di questa esposizione, ha proposto ai cittadini di San Vito di rappresentare in forma grafica le loro idee sulla possibile fruizione di quest’opera, fornendo loro alcuni fogli prestampati. Questo atto ha ulteriormente contribuito al processo di partecipazione del pubblico che, non solo ha votato, ma è stato chiamato a immaginare e definire la destinazione d’uso dell’opera stessa.

L’esposizione presso la Fondazione Furlan di Pordenone prosegue attraverso una selezione di opere che ripercorrono i momenti fondamentali del suo percorso artistico. La formazione scolastica in tessitura ha dato l’impronta al lavoro di Anna Pontel che crea usando principalmente materiali tessili. Le sue sculture sono progettate pazientemente e realizzate in maniera meticolosa ed accurata, tipica della creazione sartoriale. Questo modus operandi si lega anche ai temi scelti: l’artista si interroga sul concetto di habitus in senso sociologico e antropologico, cercando di darne un’interpretazione in termini giocosi e ironici.

Galeta, 2012

Galeta è una scultura-architettura a forma di bozzolo ovale realizzato in legno e tessuto. L’opera, premiata dalla giuria del Premio In Sesto 2011, è stata realizzata nel corso del 2012 per essere collocata all’interno dell’Ex Essicatoio Bozzoli di San Vito al Tagliamento, creando un continuum tematico tra l’opera stessa e lo spazio che la ospita. Galeta infatti è un termine dialettale che significa bozzolo, l'involucro di seta dentro al quale il baco diventa farfalla. La struttura di Galeta, permette al fruitore di entrare all’interno del suo spazio e di trovare un luogo intimo, adatto ad un momento di riflessione e introspezione. Il tessuto semitrasparente che la riveste, permette all'aria e alla luce di penetrare, consentendo un contatto filtrato con l’esterno. Il fruitore viene attratto da questo spazio di quiete e rigenerazione; la struttura dell’opera invita però anche alla sperimentazione, al contatto, alla ricerca di un’armonia o equilibrio tra lo spazio della stessa e la sensibilità di chi la guarda. (Giulia Giorgi)

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